Giurisprudenza recente

ARBITRATO – GIURISPRUDENZA

In materia di arbitrato, deve ritenersi che, laddove sussista una clausola compromissoria che, derogando convenzionalmente alle attribuzioni del giudice ordinario, rinvia la risoluzione delle controversia ad un arbitrato, in considerazione della riforma introdotta dal Decreto Legislativo del 2 febbraio 2006 n. 40 ed in assenza di espressa specificazione delle parti, il rinvio all’arbitrato deve intendersi come a quello rituale stante l’atipicità di quello irrituale. Inoltre, la presenza di una clausola compromissoria sull’arbitrato, pur non escludendo la competenza del giudice ordinario ad emetter un decreto ingiuntivo stante, peraltro, l’assenza, nel procedimento arbitrale, di un provvedimento inaudita altera parte, impone tuttavia a quest’ultimo, in caso di successiva opposizione fondata sull’esistenza della detta clausola e, dunque, di eccezione di
compromesso, la declaratoria di nullità del decreto opposto e la contestuale remissione della controversia al giudizio degli arbitri. (Trib. RM SEz. 3^ 12.02.2014 n.3383).

È inammissibile l’impugnazione del lodo arbitrale dinanzi alla Corte di Appello, qualora pronunciato a seguito dell’arbitrato espressamente qualificato dal collegio come irrituale. Al contrario, ove gli arbitri abbiano ritenutola natura rituale dell’arbitrato ed abbiano, pertanto, provveduto nelle forme ex art. 816 e seguenti c.p.c., l’impugnazione del lodo, anche se diretta a far valere la natura irrituale dell’arbitrato, va proposta dinanzi alla Corte di Appello ex art. 827 e seguenti c.p.c. e non anche nei modi propri dell’impugnazione del loro irrituale, ossia davanti al Giudice ordinariamente competente. Agli effetti della individuazione del mezzo di impugnazione esperibile avverso il lodo, pertanto, ciò che conta è la natura dell’atto in concreto posto in essere dagli arbitri, più che la natura dell’arbitrato come prevista dalle parti. Nella fattispecie concreta, di conseguenza, rilevato che il collegio arbitrale ha espressamente qualificato irrituale l’arbitrato, l’impugnazione del lodo doveva essere proposta dinanzi al Giudice ordinariamente competente e non anche dinanzi alla Corte di Appello, la quale deve limitarsi a dichiarare la inammissibilità dell’impugnazione, non potendo emettere una pronuncia di incompetenza con termine per la riassunzione dinanzi al Giudice reputato competente, stante la inapplicabilità della translatio iudicii nel caso di incompetenza per grado. (C. App. PA Sez. I 20.01.2014 n.53).

Il mezzo di impugnazione del lodo arbitrale deve essere individuato in base alla natura dell’atto concretamente posto in essere dagli arbitri e non dell’arbitrato come previsto dalle parti, per cui, se è stato pronunciato un lodo irrituale nonostante che alcune delle parti sostengano di avere, in realtà, pattuito una clausola per arbitrato rituale, il lodo medesimo deve essere impugnato, sia pure allo scopo di far valere il carattere rituale dello stesso, non innanzi alla corte di appello, a norma dell’art. 828 cod. proc. civ., ma in
base alle norme ordinarie sulla competenza e con l’osservanza del doppio grado di giurisdizione, facendo valere i vizi di manifestazione della volontà negoziale. (Cass. civ.08.11.2013 n.25258)  L’ordinanza che ha autorizzato la misura cautelare del sequestro giudiziario (nella specie, a seguito di reclamo) senza provvedere sulle spese di lite non è impugnabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. in quanto priva di carattere definitivo e decisorio, potendo ogni questione, anche non risolta,
essere riproposta nel giudizio di merito – sia che si svolga innanzi al giudice ordinario, sia che la controversia sia assoggettata ad arbitrato rituale od irrituale – nel quale soltanto potrà provvedersi alla disciplina delle spese a norma dell’art. 91 cod. proc. civ. (Cass. civ. 27.12.2013 n.28673).

Posto che sia l’arbitrato rituale che quello irrituale hanno natura privata, la differenza tra l’uno e l’altro tipo di arbitrato non puo’ imperniarsi sul rilievo che con il primo le parti abbiano demandato agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice, ma va ravvisata nel fatto che, nell’arbitrato rituale, le parti vogliono che si pervenga ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all’articolo 825 c.p.c., con l’osservanza del regime formale del procedimento arbitrale, mentre nell’arbitrato irrituale esse intendono affidare all’arbitro (o agli arbitri) la soluzione di controversie (insorte o che possano insorgere in relazione a determinati rapporti giuridici) soltanto attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla volonta’ delle parti stesse, le quali si impegnano
a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volonta’. (Cass. civ. 22.11.2013 n.26213)

Siccome tanto l’arbitrato rituale quanto quello irrituale hanno natura privata, la reale differenza tra l’uno e l’altro tipo di arbitrato va ravvisata nel fatto che in quello irrituale le parti intendono affidare all’arbitro (o agli arbitri) la soluzione di controversie (insorte o che possano insorgere in relazione a determinati rapporti giuridici) soltanto attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla volonta’ delle parti stesse, le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volonta’. A differenza dell’arbitrato rituale in cui esse vogliono che si pervenga ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all’articolo 825 cod. proc. civ., con l’osservanza delle regole del procedimento arbitrale. (Cass. civ. 26.08.2013 n.19550)

Al fine di determinare se si verta in tema di arbitrato rituale o irrituale, occorre interpretare la clausola compromissoria alla stregua dei normali canoni ermeneutici ricavabili dall’art. 1362 cod. civ. e, dunque, fare riferimento al dato letterale, alla comune intenzione delle parti, e al comportamento complessivo delle stesse, anche successivo alla conclusione del contratto, senza che, il mancato richiamo nella clausola alle formalità dell’arbitrato rituale deponga univocamente nel senso dell’irritualità dell’arbitrato, ovvero possa essere invocato il criterio, residuale, della natura eccezionale dell’arbitrato rituale, dovendosi tenere conto delle maggiori garanzie offerte da tale forma di arbitrato quanto all’efficacia esecutiva del lodo, al regime delle impugnazioni, alle possibilità per il giudice di concedere la sospensiva. (Cass. civ. 21.11.2013 n.26135)

In materia di impugnazioni, atteso che l’art. 326, comma primo, cod. proc. civ. è norma di portata generale, applicabile oltre che alle sentenze anche al lodo arbitrale, sia esso rituale o irrituale, il termine per proporre impugnazione avverso lodo arbitrale irrituale decorre dal giorno in cui è stata effettuata la notificazione a richiesta di parte – in quanto atto idoneo ad esprimere la volontà della parte di porre fine alla fase arbitrale e di fare decorrere i termini per l’impugnazione sia nei confronti del notificando che per la stessa parte notificante – e non dal giorno della comunicazione integrale del lodo a cura della cancelleria, nemmeno se questa sia effettuata mediante ufficiale giudiziario (Cass. civ. Sez. Lav. 19.08.2013 n.19182).

L’art. 819 ter c.p.c., come introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, nel disciplinare i rapporti tra arbitri ed autorità giudiziaria contiene inequivocabili elementi da cui evincere la volontà legislativa di configurare la questione del se una controversia debba essere devoluta alla cognizione del giudice ordinario od a quella arbitrale come una questione di competenza. Ed infatti, siffatta norma stabilisce espressamente che la sentenza con cui il giudice ordinario statuisce sulla propria competenza in ordine ad una convenzione di arbitrato è impugnabile con il regolamento di competenza ed, inoltre, la stessa exceptio compromissi rappresenta una vera e propria eccezione di incompetenza, soggetta ai medesimi termini di proposizione, con la conseguenza che tale eccezione di arbitrato introduce nel giudizio una questione di rito e non già di merito.

Ciò è valido in riferimento all’arbitrato rituale, in quanto l’eccezione con cui si deduca l’esistenza di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale non pone una questione di competenza dell’autorità giudiziaria, ma contesta la proponibilità della domanda per aver i contraenti scelto la risoluzione negoziale della controversia, rinunciando alla tutela giurisdizionale. (Nella fattispecie, l’opponente sollevava l’eccezione di incompetenza del giudice adito per la presenza nel contratto di subappalto oggetto del giudizio di una
clausola compromissoria di devoluzione agli arbitri di qualsiasi controversia sorta in riferimento al predetto contratto e, stabilito, in base a quanto sopra esposto, che si trattava di una questione di incompetenza in senso tecnico, trovandosi di fronte ad un arbitrato rituale, il convenuto opposto dichiarava di aderire a tale eccezione. Conseguentemente, il giudice adito dichiarava la propria incompetenza e revocava il decreto ingiuntivo opposto). (Trib. Ivrea 19.07.2013 n.371)

“Il procedimento arbitrale è ispirato alla libertà delle forme, con la conseguenza che gli arbitri non sono tenuti all’osservanza delle norme del codice di procedura civile relative al giudizio ordinario di cognizione (a meno che le parti non vi abbiano fatto esplicito richiamo nel conferimento dell’incarico arbitrale). In particolare a tale procedimento non si applica, né direttamente, né indirettamente, il regime delle preclusioni di cui all’articolo 183 del Cpc. (In applicazione del riferito principio la Suprema corte ha rigettato il motivo di ricorso con il quale si deduceva la violazione – da parte del giudice innanzi al quale era stato impugnato il lodo – dell’articolo 829, commi 1°, n. 9, e 2, del Cpc, stante la genericità della domanda arbitrale e tenuto conto che la successiva precisazione o integrazione della stessa avevano alterato il contraddittorio)” Cass. civ. 04.06.2014 n.12543).

“In tema di arbitrato, anche prima dell’introduzione dell’art. 824 bis cod. proc. civ. da parte del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, gli effetti tra le parti del lodo arbitrale rituale erano equiparabili a quelli della sentenza, avendo l’attività degli arbitri natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario. Ne consegue che degli effetti favorevoli al condebitore del lodo reso tra il creditore ed uno dei condebitori solidali prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 40 del 2006 può giovarsi altro condebitore solidale che non sia stato parte del giudizio arbitrale, applicandosi pure al lodo non impugnabile l’effetto espansivo della sentenza previsto dall’art. 1306, secondo comma, cod. civ.” (Cass. civ. 26.05.2014 n.11634)

“In tema di arbitrato, è inammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di rigetto del reclamo nei confronti del decreto di dichiarazione di esecutorietà del lodo; invero, avendo il lodo efficacia vincolante fra le parti dalla data della sua ultima sottoscrizione, deve escludersi che il decreto di esecutorietà sia in alcun modo assistito dal requisito della decisorietà, che è propria della sentenza arbitrale, né da quello della definitività, esistendo diversi modi per rimuoverne l’efficacia, con conseguente esclusione dell’attitudine di tale decreto a pregiudicare i diritti soggettivi derivanti dal rapporto definito con il lodo arbitrale, avendo rilevanza limitata alla sola possibilità di mettere in esecuzione il lodo” (Cass civ. 14.05.2014 n.10450)

“In tema di arbitrato, la sentenza che neghi la propria competenza in relazione ad una convenzione di arbitrato irrituale non è impugnabile per regolamento di competenza, in quanto tale tipologia di arbitrato determina l’inapplicabilità di tutte le norme dettate per quello rituale, ivi compreso l’art. 819 ter cod. proc. civ. (Nella specie, la S.C. ha qualificato come irrituale l’arbitrato previsto da una clausola compromissoria contenuta nello statuto di un consorzio che deferiva alla competenza di un arbitro la soluzione delle controversie fra consorziati attraverso uno strumento inappellabile e destinato a realizzare la volontà delle parti di comporre la controversia).” (Cass. civ. 13.05.2014 n.10300).

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